Nido gaucho
di Andrea Sardi TANGO ARGENTINO – Nido gaucho, nido protetto dalla natura vergine e selvaggia. Nido costruito con cura per la donna che ami. Via dalla città! Via dallo scenario dove la vita si dibatte tra la periferia, povera ma ricca di valori, e le illusioni del centro, destinate presto ad infrangersi, così come ogni sogno. Anche se solo per un momento, via dallo scenario del tango: il perpetuo viaggio dall’arrabal al centro, dall’oggi ad un domani pieno di promesse effimere.
Lasciare tutto ed andare, in un luogo senza tempo, là dove “ […] il campo, brillando del colore della speranza, indossa il suo piumaggio e il vento fa vibrare le sue corde tra i pascoli ed i fiori […]” (“Nido gaucho”, Tango 1942. Musica: Carlos Di Sarli, Letra: Héctor Marcó).
Là dove hai costruito il tuo nido, per accogliere la tua amata, “[…] dove cantano gli usignoli, e le margherite e le rose sono sbocciate per te, perché un giorno sarà il nostro nido selvaggio […]”.
Se un amore non ha fatto mai nascere in te questo desiderio di rinascita, ancora hai da vivere molto, credo.
Io ho il mio nido gaucho, sai?
E’ in un’Isola, non lontano da qui. Lo curo, con amore. So bene che la natura chiede molto, pur dando molto, che ci vuole impegno per far fiorire quelle rose. La natura questo ti insegna: attenzione, impegno, passione. Presenza continua. Non puoi fare attendere la natura, il tuo giardino, il tuo nido gaucho, così come non puoi fare attendere un figlio, o la donna o l’uomo che ami. Devi esserci, in ogni stagione, con ogni tempo. In fondo la natura è così, come il mare che ne è parte: né buona né cattiva, ma bella. E chiede impegno, presenza, costanza. Come l’amore.
Eppure anche in questo luogo che richiama alla concretezza, i sogni restano: “[…] Fioriranno le mie illusioni, e si uniranno i nostri cuori […]”.
E così … “[…] Dimmi di sì, e la notte della Pampa si aprirà allo splendore della sua luna e porrà luce d’amore nei tuoi occhi […]”: sarà sempre il suo amore a dare un senso a questo nido, a dargli vita: “[…] Non negarti, che altrimenti il dolore farà morire i miei roseti e sulla croce del mio podere morirà l’usignolo, per il tuo amore negato[…]”. Comprendi? Anzi, come direbbe un argentino: ¿Lo entiendes?
Poi… poi l’illusione s’infrange. Sempre! Lasciando solo un ricordo, che a momenti quasi diviene allucinazione: “[…] A volte, là, tra le pampane e i tralci di rosa, gli pareva d’un tratto di vedere il vestito a fiori blu di lei, il cappello di paglia che le aveva regalato l’estate prima, il suo volto sorridente. Accanto a sé, nel primo sospiro del risveglio, per un attimo s’illudeva di trovare il suo capo riccioluto, gli occhi ancora socchiusi, il suo respiro tenue e profumato, quel profumo che un tempo aveva inseguito nei baci appassionati, cercato su tutta la sua pelle, destandosi […]” (tratto da “Narkissos”, un mio romanzo).
Per alcuni, non più per me, c’è la speranza che l’illusione torni a materializzarsi, in questo paradiso terrestre, dove la natura vibra in ogni parola: “[…] Domani quando il sole si accenderà, calpesterai il trifoglio tra le gocce di rugiada e le lacrime di questo mio amore. Ricorda che le ho versate per te, e se comprenderai il mio tormento, con il volto al vento, rondinella, aprirai le tue ali e in un sol volo la mia tristezza ucciderai […]” (“Nido gaucho”).
Sai, un tempo speravo che quel sogno d’amore si realizzasse, così come racconta un vals, “Noche de estrellas”: due ragazzi che cercano la purezza della natura nel silenzio notturno di un parco, forse l’unico luogo che consenta loro di allontanarsi dalla quotidianità della città, e sotto la volta stellata celebrano la loro unione.
Lui le chiede di indossare l’abito bianco di tulle. Che poi è un abito nuziale. Per giurasi il loro amore. Per sempre.
“La notte, amata mia, è blu, usciamo per il parco a passeggiare; indossa l’abito bianco di tulle, in tono col chiaro lunare. Il quartiere si è addormentato e noi due, guardando le stelle tremare, cammineremo insieme, mio amore, per sognare.
Insieme, fino al parco andremo e ci siederemo, e là ci racconteremo le nostre dolci confidenze, ci scambieremo la nostra promessa, sotto un firmamento trepido di bagliori.
Guardando una stellina correre per il cielo blu, le chiederemo che ci porti fortuna e che ci possiamo amare per sempre, fino alla morte. Sotto gli occhi di un milione di stelle, che con la loro luce brillano, ci confideremo, ci abbracceremo e là sogneremo con uno stesso amore.
E nella notte parrocchiale, sotto questa bella corte celestiale, ci baceremo religiosamente, nella dolce pace” (“Noche de estrellas”, Vals, Musica: José Luis Padula, Letra: Enrique Cadícamo”).
Un tempo lo speravo.
Ora resto, in questa città di oblio dove, tuttavia, l’improvviso profumo di un geranio fa rivivere quel desiderio di rinascita, in un luogo puro, incontaminato. Nell’amore.
“[…] Cosa ci resta, città? Solo questo oblio …In quale ultimo angolo svanisce la speranza di un sogno che non è stato, un profumo di gerani, la promessa di un incontro […]?” (Ciudad de olvido, Tango, Musica: Damián Torres, Letra: Gustavo Visentín).
Perché, contro ogni consapevolezza, l’anima ancora anela che torni a rivivere ciò che la ragione nega: “[…] Ma so che c’era un cielo senza cemento abitato da lune fiorite, e c’erano cortili gonfi di calore, e c’era un angolo di appuntamenti e di carezze […]” (“Ciudad de olvido”).
Grazie per aver condiviso con me questa confidenze. Questo nostro Tango.